Alcune riflessioni sulla morte di #AlfieEvans
“Metto firma ed esco”: questa frase, così banale e normalmente utilizzata nel nostro paese per esprimere l’intenzione di lasciare la struttura ospedaliera e tornare a casa anzitempo (che corrisponde all’esercizio di consolidati diritti della persona nell’ambito della sanità), ebbene, questa frase pare essere vietata nel Regno Unito. Ai genitori di Alfie Evans è stato proibito, con rigorose misure legali-amministrative sostenute dall’ausilio delle forze dell’ordine, di decidere come e dove prestare le cure che essi ritenevano opportune per il loro figlio; a ciò ha fatto seguito l’abbandono terapeutico del bambino, che ne ha comportato la morte. Una sorte simile toccò al piccolo Charlie Gard.
La scelta delle autorità inglesi è avvenuta a dispetto del dettato di alcune Carte fondamentali, cui pure il Regno Unito aderisce (la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea1; la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo2; la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo3).
E allora ci chiediamo come sia stato possibile che tutto ciò sia avvenuto, per giunta non di nascosto, nottetempo, ma alla luce del sole, con tanto di avallo di carte bollate e protocolli, di toghe e di camici, di cravatte e di divise, sotto i riflettori del mondo intero. E, soprattutto, in base a quali criteri si sia ritenuto di poter lasciare inesaudite le legittime richieste di una famiglia, all’interno di un paese che formalmente mostra un elevato standard giuridico, ma dove di fatto possono mettersi in moto dei meccanismi capaci di coartare le libertà fondamentali della persona (in ossequio ad una visione della vita utilitaristica, nichilista ed antisolidale).
Non si intende qui ripercorrere tutta la vicenda sanitaria-legale degli Evans, ma solo fare qualche considerazione – a partire da tali vicende – sui segni dei tempi, poiché pare attualissimo l’ammonimento riportato in Efesini 5, 16: “i giorni sono cattivi”.
Le vicende sopra riportate ci riguardano tutti. In quelle vicende abbiamo visto ”istituzionalizzarsi” e connettersi la cultura dello scarto con la dittatura del relativismo, e ciò un domani potrebbe ritorcersi anche contro di noi.
Che la cultura dello scarto abbia avuto un ruolo importante sui fatti citati è cosa evidente: la vita di Alfie è stata reputata “futile”, termine inglese che vuol dire improduttivo, inefficace, inutile. E, secondo la cultura dello scarto, se una cosa è ritenuta inutile va scartata, anche se si tratta della vita umana. Tuttavia questo non era sufficiente per potersi effettivamente liberare dall’onere di prestare cure adeguate ad Alfie. Occorreva un avallo del potere pubblico, che andasse oltre le comuni norme esistenti a tutela della vita umana. E qui entra in gioco la dittatura del relativismo, che a poco a poco sta erodendo alcuni istituti di tutela della persona.
Le grandi codificazioni democratiche nazionali e internazionali, posteriori alla seconda guerra mondiale, hanno generalmente inserito disposizioni volte a tutelare la persona umana dagli arbìtri del potere. Ma poco a poco tale protezione si è andata indebolendo, sotto l’impulso di pressioni di varia natura, tra le quali hanno certamente avuto un ruolo significativo quelle inerenti la legalizzazione dell’aborto.
Oggi dobbiamo pertanto fare un’amara constatazione: non basta che alcuni diritti vengano codificati perché siano tutelati, ma occorre anche che gli stessi diritti siano effettivamente reputati degni di tutela dall’opinione pubblica. Se nella società civile comincia a farsi strada l’idea che occorra agire più per tornaconto che per giustizia, allora potremmo avere esiti paradossali quanto a interpretazioni delle norme (poiché, come è noto, ogni norma va sempre interpretata, anche la più semplice). In altre parole, se si forma un’alleanza perversa tra alcuni (o molti) degli operatori della politica, della comunicazione, del diritto e della scienza, potrà verificarsi che – su questo o quel tema – il sentire comune venga come anestetizzato e l’opinione pubblica venga condizionata, favorendo in tal modo operazioni del tutto contrarie ai princìpi del buon senso e del diritto codificato. In una tale situazione, a nulla varrà al poveretto di turno invocare i propri diritti; in maniera apparentemente inspiegabile, direi kafkiana, il suo destino sarà purtroppo nelle mani del potere effettivo, che non è tanto quello visibile delle pubbliche istituzioni, ma quello più soft e nascosto della dittatura del relativismo, che riesce a condizionare il primo anche contro le norme vigenti. Questo potere nascosto non si contenta solo di alcuni aggiustamenti di fatto (peggiorativi), ma tende anche ad inserire negli ordinamenti giuridici – sotto l’apparente ricerca della non discriminazione, della tolleranza, della libertà e dell’inclusione – ulteriori norme del tutto opposte a quelle richieste dal bene comune.
Il diritto applicabile, stante la necessità di interpretare le norme, risente sempre dell’insieme di convenzioni e regole effettivamente vigenti nella vita reale, capaci – in una qualche misura – di dare sostanza all’interpretazione del diritto formale. Pertanto diviene essenziale che la vita reale sia ordinata da princìpi retti, orientati al bene comune. Ma affinché tale orientamento divenga stabile nella società, occorre diffondere la cultura del Vangelo, perché senza di esso, per quanto si possa partire con buone intenzioni, vi è sempre il rischio di risultati parziali, controversi o anche contrari allo stesso bene comune4.
Pertanto, se non torneremo a diffondere nella società il Vangelo (che porta con sé anche una retta concezione dell’antropologia e del diritto), vi è il rischio che un domani potremmo essere tutti alla mercé dei cultori dello scarto.
Twitter: @baroni_a
1Cfr. artt. 1, 2, 3, 6 e 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=uriserv:OJ.C_.2016.202.01.0389.01.ITA&toc=OJ:C:2016:202:TOC
2Cfr. artt. 2, 5 ed 8 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, https://www.echr.coe.int/Documents/Convention_ITA.pdf
3Dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, Onu, 1948: “Art. 3 – Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona… Art. 12 – Nessun individuo potrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa,… Art. 13 – … Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese… Art. 25 – …Ogni individuo ha diritto (…) alle cure mediche e ai servizi sociali necessari… Art. 30 – Nulla nella presente Dichiarazione può essere interpretato nel senso di implicare un diritto di un qualsiasi Stato, gruppo o persona di esercitare un’attività o di compiere un atto mirante alla distruzione di alcuno dei diritti e delle libertà in essa enunciati.”
4“Senza dubbio l’uomo può organizzare la terra senza Dio, ma «senza Dio egli non può alla fine che organizzarla contro l’uomo. L’umanesimo esclusivo è un umanesimo inumano»” (Paolo IV, Lett. enc. Populorium progressio, n. 42; inserto tra virgolette basse di H. DE LUBAC, Le drame de l’humanisme athée, III éd., Spes, Paris 1945, p. 10)