Cyberbullismo, Paolo Picchio ai giovani: “Tornate a vivere nel mondo reale”. Ivano Zoppi agli adulti “Riprendetevi i vostro ruolo educativo”
Un incontro fondamentale per i genitori, educatori, professionisti ma anche giovani presenti, quello di giovedì sera all’oratorio ‘L’Astrolabio’, della parrocchia di San Giovanni Apostolo in Ponte d’Oddi a Perugia, sul tema del cyberbullismo. Una testimonianza molto forte e sentita quella di Paolo Picchio, padre di Carolina Picchio – prima vittima di cyberbullismo e presidente della Fondazione Carolina che, raccontando la storia della figlia, ha ripercorso le tappe del cammino che lo hanno portato oggi ad impegnarsi in prima persona per diffondere un messaggio di speranza tra i giovani: “tornate a vivere nel mondo reale e a volervi bene”. Nel 2013 Carolina, a soli 14 anni, si toglie la vita. Con il suo gesto apre le porte in Italia ad una nuova legge. Prima il processo ai suoi ‘amici’ che l’hanno derisa diffondendo un filmato in cui giocavano con il suo corpo – privo di sensi – mimando atti sessuali, poi la legge 71/2017 proposta dalla senatrice Elena Ferrara, ex insegnante di musica di Carolina, che insieme a Paolo Picchio inizia un cammino per il riconoscimento di questo fenomeno. Una normativa, quella italiana, che è la prima legge sul tema in Europa.
La storia di Carlina catapulta nella società civile un mondo, quello virtuale e dei social, che riesce e fare delle vittime reali: in Italia, solo nel 2017, sono stati 357 gli adolescenti che non hanno resistito e si sono tolti la vita. I recenti casi di cronaca, il ‘bullo’ di Lucca con il professore e il video ‘intimo’ della 14enne di Milano, sono solo alcuni esempio di come ancora la rete sia il luogo in cui i giovani, affamati di like e visualizzazioni, cercano la loro affermazione personale e la propria identità. In un mondo, quello reale, quello degli adulti, che non li considera o non da loro le giuste certezze, gli adolescenti cercando affermazione da sconosciuti condividendo video e immagini inappropriate per la rete ma che riescono a fruttare loro visibilità. La rete diventa un luogo in cui condividere materiale senza rendersi conto di che esposizione può avere quel contenuto: nascosti dietro ad un video non si percepisce il potere di una condivisione su un social o l’utilizzo di parole che feriscono. Il problema, allora, non è il cyberbullismo o il bullismo in generale, ma la quotidianità nella quale si utilizzano social per condividere, scambiare, diffondere informazioni spesso inadeguate (perché troppo intime) a quegli strumenti. Il bullismo e il cyberbullismo sono quindi solo il risultato di un malessere diffuso tra i giovani, che fanno un uso distorto dei social e della rete.
Fondamentale, alla luce di quanto detto, è quindi il ruolo guida degli adulti. Ai genitori, educatori, allenatori sportivi, catechisti e quant’altro, Ivano Zoppi di Pepita Onlus chiede: “riprendente in mano il vostro ruolo educativo”. La strada non è proibire o demonizzare la tecnologia perché è impossibile tornare a quando non esisteva, ma bisogna educare i giovani ad una ‘cultura del rispetto’: delle regole, di noi stessi e degli altri. Importante è responsabilizzare i figli nell’utilizzo dei social ma anche di una semplice applicazione di messaggistica come WhatsApp ormai assunta al ruolo di community dove si scambiano foto, video e documenti anche privati. E’ l’educazione alla morale, al rispetto a fare la differenza nell’uso di questi strumenti che, in primis noi adulti, dobbiamo saper usare per essere esempi credibili per i giovani. Sono quindi due le parole chiave per provare a contrastare i fenomeni di bullismo o cyberbullismo: prevenzione e formazione. Per formazione si intende sensibilizzare e accompagnare i ragazzi nell’uso dei social e ridare ai genitori la responsabilità educativa che meritano. La prevenzione si può mettere in campo solo con percorsi formativi che diano continuità, tipo l’ora di educazione civica a scuola, al fine di dare una struttura all’attività di educazione di se stessi, degli altri e delle regole.