E’ Maggio e il Rosario non è fuori moda

di Sabrina Cecchini,

Siamo a metà del mese di maggio e anche quest’anno l’immagine di Maria sta peregrinando nelle zone della nostra parrocchia. La attendono e la accolgono diverse persone con la corona in mano; ovunque, insieme, si recita la preghiera del Rosario. Può succedere che alcuni oggi trovino difficile accostarsi ad una preghiera così antica e semplice e per questo provino quasi imbarazzo a mescolarsi al gruppo. Ma il Rosario, che non è nato come moda passeggera, anche in altre epoche, quando i tempi o le idee del momento ne avrebbero voluto decretare l’estinzione, ha dimostrato sempre di avere in sé una forza vitale tale da rinascere ostinatamente nel cuore e sulle labbra del popolo di Dio.
Cosa avrà mai di bello da offrire il Rosario ai cristiani di oggi? Si potrebbero elencare tanti aspetti, ma mi pare importante indicarne tre. Il Rosario insegna una fede realistica, spinge a uscire da sé per andare verso le periferie, educa a restare poveri.
Primo aspetto: il Rosario insegna una fede realistica. Che vuol dire? Il Rosario è una preghiera che si fonda sulla meditazione di fatti reali, storici. Per i cristiani, la fede non si basa su vaghe e remote speranze, su pie idee umane intorno all’esistenza di Dio e di una qualche vita dopo la morte, su filosofiche elucubrazioni di alcuni dall’immaginazione fervente. Nel Rosario, i cristiani enunciano una serie di fatti accaduti realmente, il popolo di Dio se li ripete ogni volta: “L’annunciazione dell’angelo a Maria; la nascita di Gesù a Betlemme; la crocifissione; la risurrezione…”. Questi fatti li medita, se li rigira lentamente nel cuore come si fa con una caramella in bocca, li contempla come “misteri”, cioè come realtà profonde, essenziali, donate gratuitamente da Dio, qualcosa che merita di essere pensato, assaporato a lungo, di cui non ci si finirà mai di stupire e su cui vale la pena fondare l’esistenza.
Secondo, il Rosario spinge a uscire da sé per andare verso le periferie. Perché? Perché c’è sempre un motivo per dire un Rosario: un dolore, una gioia, una preoccupazione, una stanchezza, un amore, un’angoscia… nostri o delle persone accanto a noi. E cosa ci propone il mondo intorno in questi casi? O di chiuderci in noi stessi e agli altri, oppure di banalizzare, spettegolare, spettacolarizzare, strepitare. Molte cose ci tormentano, niente ci eccita abbastanza, tutto alla fine ci stanca. Inguardabili trasmissioni televisive sono costruite sulle nevrosi, le gioie, i drammi, le angosce delle persone: tutto diventa pretesto per discussioni sciocche, vane e inconcludenti. Quante volte perdiamo occasioni per diventare più umani, più cristiani! Il Rosario invece educa all’attenzione autentica e alla carità, ad uscire da sé e a raggiungere il prossimo (la “periferia”!), con una carezza, con uno sguardo diretto, con una promessa: “So cosa vuol dire quel che stai passando; ti penso, dico il Rosario per te”. Più si dice il Rosario, meno si è superficiali; più si dice il Rosario, meno si è indifferenti alla propria vita e a quella del prossimo; più si dice il Rosario, meno si resta soli e meno si lasciano da soli gli altri.
Terzo, il Rosario insegna a restare poveri. In che senso? È chiaro che le ricchezze morali e materiali non sono affatto da disprezzare. Tuttavia, è un fatto che il Rosario sia nato di per sé per le persone povere, in particolare per gli analfabeti, che non potendo leggere i salmi erano esclusi dalla preghiera quotidiana del salterio. Recitare il Rosario, che si basa sulla ripetizione delle preghiere fondamentali del cristiano (Pater, Ave, Gloria), era il leggere, scrivere e far di conto della fede degli umili. Sarà per questo che il Rosario è sentito da taluni come una preghiera superata? Troppo semplice per i nostri migliorati standard culturali? L’esperienza dice che non è così. Basterebbero due nomi: il beato Bartolo Longo e San Giovanni Paolo II.
Il primo, avvocato (e brillante pure), ha condotto un’intera vallata di gente ignorante, superstiziosa, rozza e misera verso un impensabile progresso umano, culturale, sociale e cristiano con due sole armi in mano: il Rosario e la carità. Quest’uomo, colto e distinto, nobile e ricco, prendeva la corona e diceva il Rosario insieme e in mezzo ai poveri. Li ha guardati con amore, li ha guidati così verso il bene e la pace.
Di Giovanni Paolo II non c’è bisogno di dire molto: è stato un pontefice di una cultura e di una sapienza difficili da quantificare. I suoi scritti spaziano dalla filosofia, alla teologia, dalla poesia, alla mistica. Ma il primo pomeriggio di ogni giorno della sua vita, cascasse il mondo, era dedicato al Rosario, durante il quale si inabissava in un colloquio profondo con quella Madre a cui un giorno aveva promesso di esser tutto suo. Questi due grandi uomini, il cui alto livello culturale non può essere messo in dubbio, grazie al Rosario hanno realizzato progetti immensi, perché sono rimasti piccoli e mendicanti della Misericordia di Dio. Il Rosario, infatti, si adatta a chi aspira all’umiltà.
Vorrei finire, allora, con l’invito a trascorrere, una sera almeno, a dire il Rosario con il proprio vicinato: la Madonna ci sta passando accanto, lasciamo la poltrona e la tv, la play station o la chat… e usciamo per andarLe incontro insieme ai fratelli, portiamole i sogni, gli amori, gli acciacchi, i dubbi, le ansie della nostra vita. Glieli rovesceremo in grembo, come fanno i bambini coi giochi, sulla gonna della Mamma. Lei ci aiuterà a vederli nella prospettiva di Dio e ci darà la Sua materna benedizione.

O Rosario benedetto di Maria;

Catena dolce che ci rannodi a Dio;

Vincolo di amore che ci unisci agli Angeli;

Torre di salvezza negli assalti d’inferno;

Porto sicuro nel comune naufragio,

noi non ti lasceremo mai più.

(Beato Bartolo Longo, Supplica alla Madonna del Rosario di Pompei)